Da studi storici fatti, risulta che i primi uomini ad adoperare il lievito naturale furono gli antichi Egizi. Essi, per una coincidenza, si accorsero che un impasto di acqua e farina dimenticato era aumentato di volume e, provando a cucinarlo, il risultato al palato era gradevole.

La madre acida è un impasto di acqua e farina inacidita, in cui i lieviti presenti nell’aria formano delle colonie. Grazie alla presenza di lactobacilli, i quali producono acido lattico ed acetico, si determina un ambiente molto acido che protegge il lievito stesso da altri organismi che potrebbero ‘ucciderlo’.

La lavorazione del lievito naturale dà origine ad una serie di fenomeni che impongono molta attenzione, sia nella scelta dei prodotti, che durante la fase operativa vera e propria.

Il processo della fermentazione è molto complesso ed è importante, prima di attivare la lavorazione del lievito naturale, analizzare i seguenti aspetti:

• la qualità e le caratteristiche reologiche delle farine utilizzate;
• il grado di purezza e la temperatura dell’acqua (18°-20° max in estate e 24°-26° max in inverno);
• l’effetto del calore;
• la percentuale di umidità ottimale;

La metodologia di lavorazione del lievito naturale ha grande importanza, affinché questo acquisti elasticità e resistenza, che consentono di imbrigliare e trattenere le molecole di gas che danno poi origine alla fermentazione.

Durante i vari rinnovi, il lievito deve essere stemperato molto accuratamente per renderlo omogeneo e della giusta consistenza.

Prima di aggiungere la farina per rinnovarlo, è buona regola versare acqua sul lievito già stemperato:
se l’acqua rimarrà quasi limpida o comunque chiara, le bollicine spariranno velocemente il che significa che siamo in presenza di un lievito indenne da acidità.

Il lievito deve essere conservato con tutte le cautele possibili per impedire, durante i processi fermentativi, l’attacco di organismi nocivi.

Un lievito naturale può essere:

• giovane
• vecchio
• debole
• forte
• passato
• pronto
• acido

Uno specialista del lievito sa identificare subito la qualità del prodotto, e sa che non deve correre il rischio di utilizzare un lievito non perfetto.

E’ errata l’opinione che asserisce che un lievito vecchio sia ricco di forza, cioè molto attivo, confondendo il concetto di forza fermentativa buona con quello della forza acida.

Un lievito naturale debole, perché troppo giovane o troppo allungato nei rinnovi, non permette una buona lievitazione, per cui lo si potrà accelerare, riponendolo in ambiente a 30° C per renderlo più attivo oppure lo si potrà rafforzare – sempre che sia neutro – con una piccola percentuale di sciroppo di malto (5-6 g per kg di farina). Di quest’ultimo aspetto ci si accorgerà dopo circa un’ora dal rinnovo.

Se la poca attività fermentativa deriva da una scarsa presenza di saccaromiceti, il calore non farà altro che peggiorarne la qualità favorendo lo sviluppo di acido butirrico che è molto dannoso per l’attività fermentativa.

E’ bene ricordare che la riduzione dell’attività dello sviluppo fermentativo, dipende dall’azione di annichilimento dei saccaromiceti prodotta dall’alcol fermentativo.

Il lievito madre o capo non deve essere troppo sviluppato e neppure troppo giovane in quanto il potere fermentativo risulterebbe troppo debole e di conseguenza occorrerebbe troppo tempo per raggiungere la giusta intensità.

Per realizzare un lievito naturale occorrono da 4 a 6 giorni; la sua conservazione deve avvenire a basse temperature, tra + 5° e + 6°

Se il lievito raggiunge il suo punto massimo in un tempo troppo breve, nel suo interno si formano delle cavità che provocano strappi al glutine. Alla superficie appariranno delle bollicine che, rompendosi in continuo, favoriranno l’espulsione dei gas che si formano all’interno e, di conseguenza, la lievitazione risulterà difettosa (restringimento del prodotto, irregolarità della superficie, zone non cotte ecc.). La stessa cosa avviene negli impasti lasciati a lungo in riposo fermentativo.

I vantaggi derivanti dall’utilizzo del lievito naturale nei prodotti della panificazione e dolciari:

  • maggiore tempo di conservazione dei prodotti finiti;
  • alveolatura fine dovuta all’azione dell’anidride carbonica per effetto di una lievitazione lenta e graduale;
  • maggiore digeribilità rispetto alle masse lievitate per effetto di lieviti chimici;
  • maggiore salubrità dei prodotti: la lievitazione perfetta e la giusta cottura riducono il pericolo della formazione delle muffe, sempre che il lievito utilizzato sia sempre in perfetta condizione di attività fermentativa.
– Come produrre il lievito naturale
  • Prima operazione:

    • Alcol a 95° g 80
    • Acqua distillata g 80
    • Luppolo g 15
    • Zucchero g 5

Si mescola l’acqua l’alcol e lo zucchero, si aggiunge il luppolo e si lascia macerare per 48 ore.
Passato questo tempo si spreme il luppolo, e si filtra il liquido.

  • Seconda operazione:

    • Liquido g 100
    • Farina 00 g 200
    • Zucchero g 5

Fare un piccolo impasto, lavorarlo bene e avvolgerlo in un telo pulito. Riporre in un recipiente e collocare a temperatura ambiente a 20°.
Dopo 24 ore impastare con pari peso di farina 00 e il 45% di acqua a 18°.
Si ripete la preparazione dell’impasto e lo si lascia riposare 6-8 ore a 20° e si procede al rinnovo.

  • Rinnovo

    • Lievito ottenuto in precedenza g 300
    • Farina 00 g 500
    • Acqua tiepida a 22° g 250

L’assorbimento dell’acqua è sempre determinato dal tenore della farina. Il lievito madre deve essere rinfrescato ogni 24 ore con acqua quasi fredda per ritardare la fermentazione.

– Consigli utili

Il lievito diventa acido solo quando la fermentazione è troppo tardiva, oppure in seguito a un surriscaldamento del lievito stesso.

L’impasto deve essere fatto in maniera da non ostacolare lo sviluppo dell’azione colloidale delle sostanze proteiche contenute nelle farine.

L’eccedenza della lavorazione può snervare l’impasto (sia il lievito sia gli impasti successivi) soprattutto se le farine impiegate non siano idonee allo scopo.

I locali dove si preparano i lieviti e gli impasti devono essere privi di odori, correnti d’aria, umidità, e dovrebbero essere mantenuti preferibilmente ad una temperatura costante sui 15° d’estate e 22°-24° d’inverno.
A temperature più elevate si corre il pericolo del surriscaldamento dell’impasto con conseguente processo di autofermentazione e degradazione della pasta.

Le impastatrici più idonee sono quelle a 2 velocità e a vasca larga, in modo che i lieviti e gli impasti riescano ad incorporare più ossigeno possibile.

La farina, per quanto riguarda il lievito, deve essere dosata subito. Non è consigliabile, come rimedio, aggiungere farina all’impasto quasi ultimato perché si corre il rischio che il lievito si indebolisca. Se la farina utilizzata per il lievito ha un ottimo assorbimento di acqua, l’impasto, pur essendo morbido (non molle), darà la sensazione di leggerezza e gommosità.

Per avere una madre acida in un tempo inferiore, aggiungere all’impasto di acqua e farina una sostanza che già contenga i batteri che aiutano a fermentare (ad esempio lo yogurt naturale o un vino bianco puro, cioè non trattato con antifermentativi).